Parla l’ex BR Alvaro Lojacono Baragiola: “L’Italia non ha mai chiesto la mia estradizione”.

L'ex terrorista delle Brigate Rosse rompe il silenzio con un'intervista a TicinOnline: "L'Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti.

Parla l’ex BR Alvaro Lojacono Baragiola: “L’Italia non ha mai chiesto la mia estradizione”.

Alvaro Lojacono, uno dei due brigatisti rossi condannati per la strage di via Fani e l’omicidio Moro fino a oggi sfuggiti alla giustizia italiana (l’altro è Alessio Casimirri) rompe il suo silenzio: lo fa con un’intervista esclusiva pubblicata dal quotidiano svizzero Ticino online (www.tio.ch). Dagli anni ‘80 Lojacono risiede in Svizzera, paese di cui ha assunto la cittadinanza dopo aver scelto il cognome della madre (Baragiola).

“L’Italia non ha mai chiesto la mia estradizione alla Svizzera, ed una “consegna” come la richiede la Lega dei ticinesi equivarrebbe a una deportazione alla boliviana, che la Confederazione non prevede”.

A parlare è Alvaro Lojacono Baragiola, 63 anni, ex terrorista delle Brigate Rosse con passaporto svizzero. Il suo nome è tornato agli onori della cronaca dopo l’arresto di Cesare Battisti. Di lui hanno parlato sia la stampa italiana che quella ticinese. E in Ticino contro di lui si sono scagliati il Consigliere Nazionale leghista Lorenzo Quadri e il presidente del PPD Fiorenzo Dadò. Anche a causa del suo impiego presso l’Università di Friburgo.

Lojacono Baragiola ha scontato in Svizzera una condanna per i suoi crimini legati al terrorismo rosso. Ma su di lui pende un ergastolo da parte della giustizia italiana. Una sentenza collegata al delitto Moro: l’allora 22enne Baragiola partecipò infatti all’agguato di via Fani a Roma dove venne rapito il presidente della Democrazia Cristiana.

Dopo vent’anni di silenzio la redazione di Ticinonline è riuscita a strappargli un’intervista. “Sono passati 40 anni – racconta Lojacono Baragiola – e l’Italia si è sempre mossa in una logica di vendetta, come si è ben visto anche nel caso Battisti, e non ha mai rinunciato a un quadro giuridico d’eccezione. In una giustizia normale la “certezza della pena” vale anche per il detenuto: io sono stato scarcerato quasi venti anni fa, e sto ancora come prima dell’arresto, senza sapere se un giorno o l’altro mi riarrestano o mi riprocessano per qualcosa”.

L’ex terrorista si dice pronto ad accettare l’ergastolo, se la giustizia elvetica decidesse di dar seguito alla sentenza italiana (ma è l’Italia che deve farne richiesta e non l’ha mai fatto): “L’accetterei senza obiezioni, almeno metteremmo la parola fine a questa vicenda”.

 

Quanto all’agguato di via Fani, queste le considerazioni di Lojacono Baragiola: “Ogni volta che il tema è rilanciato dai media associandolo al mio nome ricevo insulti e minacce. È una pena supplementare, non ci posso fare niente. Ci sono memorie collettive diverse ed in conflitto tra loro, e nessuna sarà mai condivisa da tutti. Entriamo nel cinquantenario del lungo ’68, dopo mezzo secolo si dovrebbe poter trattare le cose storicamente, ma non è così, sembra che i fatti siano avvenuti ieri. C’è stata una “linea della fermezza” lanciata dal PCI al tempo del sequestro Moro, continuata poi con le leggi d’emergenza e con la politica della vendetta, che in questi giorni ha raggiunto livelli impensabili con l’esibizione del detenuto-trofeo.  Non vedo perché parlare con chi mi considera ancora oggi terrorista e nemico pubblico. Che non sono. Ma non è un tabù, ne parlo con storici e ricercatori con cui si può discutere, solo lontani dalla propaganda e dalle fake-news si può ritrovare un senso storico”.

Commenta l’intervista dell’ex Br anche Sandro Leonardi, figlio di Oreste, il capo della scorta di Moro trucidato il 16 marzo 1978 con Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino, Giulio Rivera e Domenico Ricci. “Ho letto e sono rimasto senza parole. Lojacono venisse in Italia, se vuole scontare davvero la sua pena. E se no, se ne resti in Svizzera come fa da quarant’anni e ci lasci in pace.  A Lojacono e a tanti altri, Casimirri in testa, dico che è finita la pacchia”, aggiunge Leonardi, secondo cui l’arresto di Battisti in Bolivia dimostra che per catturare i terroristi latitanti “basta la volontà”.

Il mio pensiero da Vice Direttore invece è un altro, credo  che i terroristi vadano trattati come criminali quali sono, che si nascondano in Svizzera, Bolivia, Argentina o al Polo Nord. Se l’estradizione non è praticabile c’è una sola soluzione. “Extraordinary Rendition” (anche semplicemente rendition è una locuzione inglese con cui si designa un’azione di cattura/deportazione/detenzione, clandestinamente eseguita nei confronti di un “elemento ostile”, sospettato di essere un terrorista), lo hanno fatto gli Israeliani con Eichmann, lo fanno gli Americani tutte le settimane con gli arabi, lo potrebbero fare anche con Lojacono.