E’ amante del rischio e dell’adrenalina Baltasar Kormákur, che viene da un paese, l’Islanda, dove gli inverni sono più freddi, i venti più minacciosi, le piogge più intense. E’ un montanaro e un navigatore, un vichingo, come scherzano alcuni, e fra le sue ossessioni c’è la lotta, spesso impari, fra l’uomo e la natura, una natura che non è “matrigna”, che non tradisce né punisce senza ragione ma che comunque presenta il conto, perché per ogni istante di pura beatitudine davanti a un tramonto rosso-arancio sopra la linea dell’orizzonte c’è un cataclisma, o meglio una tempesta. Quella di Everest era di neve e ha portato alla morte di 22 scalatori. Quella di Resta con me ha colpito invece una barca a vela che da Tahiti cercava di raggiungere San Diego e che era guidata da Tami Oldham e Richard Sharp, due ragazzi profondamente innamorati.
Per un film come per l’altro, il regista ha disprezzato il pericolo, andando ora a caccia di location a 7.300 metri, ora spingendosi al largo delle Figi per girare in mezzo al mare. Per un film come per l’altro, non ha scelto la comoda via del solito disaster movie o film di sopravvivenza, né ha fatto un uso smodato della computer grafica, e pur concedendo alle cime imbiancante e alle onde ruggenti lo status di personaggi, ha mandato avanti, anche solo di un passettino, i suoi eroi in carne ed ossa, girando un film “classico”.
A essere onesti, nel caso di Resta con me “classico” fa rima a tratti con “già visto”, ma non importa, anzi, ben vengano i cliché del sotto-genere, perché che cronaca di un naufragio sarebbe il film senza una ferita cucita con l’amo, cibo e acqua razionati e razzi sparati in cielo? Cos’altro può esserci in (e su) uno yacht a vela? E comunque, la barca che senza il fiocco cerca di raggiungere le Hawaii non è mai un luogo “monotono” e, in 93 minuti, scopriamo via via angoli nuovi, e azioni nuove piene di sorprese, in un costante movimento da sopra a sotto e dalla superficie galleggiante all’acqua.
Se lo spazio in cui i due sventurati fidanzatini si muovono non è mai claustrofobico, non è opprimente (né noioso e sfilacciato) neppure il racconto dei 41 giorni di deriva in mezzo al Pacifico, che comincia a uragano finito e prosegue intrecciando al presente il passato, laddove il passato inizia con nascita della passione fra i due protagonisti e l’approssimarsi della tragedia. Va detto che la love-story fra la bionda californiana e l’inglese dagli occhi blu gronda melassa, ma esiste una biografia della Oldham che ci informa che le cose sono andate esattamente così. E poi, grazie a questo escamotage narrativo, il momento del disastro arriva soltanto alla fine, svelandoci un mistero che verrà certamente assaporato con gusto dallo spettatore.
Un altro mistero che Resta con me cerca di spiegare sono le ragioni profonde del desiderio di libertà che anima i naviganti e gli avventurieri, e la loro voglia di una solitudine in cui le gioie si amplificano e l’immensità può essere di una bellezza struggente. Nemmeno dei personaggi viene rivelato proprio tutto, facendo sorgere interrogativi che forse non troveranno mai risposta. Richard e Tamiconservano insomma un che di inafferrabile. Metterli a confronto forse non è giusto, ma la gara la vince Tami, la ragazza con il coraggio di un ragazzo che con un orologio, una penna, un foglio e una grande intelligenza procede lenta verso la salvezza e contemporaneamente si prende cura del suo uomo ferito. E’ un condensato di coraggio e di energia la navigante fuggita da due genitori inaffidabili, ed è – e questo è bellissimo – la prima donna protagonista di una survivalist story tra i flutti. Già, perché di solito, quando c’è un pericolo sotto forma di elemento naturale, le donne diventano improvvisamente mogli incinte rimaste a casa o madri destinate ad aspettare telefonate che non arrivano. Ma Tami no, Tami è l’anima di Resta con me, e il timone del film lo tiene Shailene Woodley, brava, grintosa e sexy “con quella faccia un po’ così” che quasi si accartoccia in una smorfia per poi aprirsi in un sorriso franco e meraviglioso. E’ lei la ragazza che chiunque di noi vorrebbe avere accanto quando, per un infausto destino, “all is lost”.
A proposto di All is Lost (e qui parliamo del film con Robert Redford), di sicuro Resta con me non lo uguaglia, e siamo convinti che sia anche inferiore ad Everest, ma non è la classica uscita estiva che punta solo a intrattenere, e neanche un film per ragazzini o per i numerosi fan di Sam Claflin. No, è “roba da adulti”. Se volete godervelo fino all’ultimo frame, please non andate su Google a cercare di capire cosa sia accaduto in quel lontano 1983. E pensateci bene prima di salpare verso l’ignoto solo per volare in prima classe…
Un grazie a Coming Soon per il trailer e immagini.
di Antonio gentile