di ANTONIO GENTILE
Pochi si sono occupati invece di un aspetto particolare di questa vicenda: i depistaggi, le coperture eccellenti, le morti sospette. La vicenda del mostro, in effetti, per anni è stata considerata come un giallo in cui occorreva trovare il serial killer. In realtà la vicenda può essere guardata da una prospettiva assolutamente diversa, cioè quella tipica di tutte le stragi di Stato italiane.
Sono in molti a ritenere il caso ancora aperto, non solo per i molti dubbi sulla sentenza, passata in giudicato nel 2000, che ha condannato Giancarlo Lotti e Mario Vanni (e implicitamente anche Pietro Pacciani, anche se quest’ultimo è morto prima di una condanna definitiva) come autori di quattro degli otto duplici omicidi attribuiti al Mostro. A prescindere dalla mancata soluzione per gli altri tre delitti del serial killer (il primo, del 1968, ha addirittura un diverso colpevole con sentenza definitiva), la verità giudiziaria è incompleta.
Infatti, Pacciani, Vanni e Lotti vengono indicati come “esecutori materiali” degli omicidi, rimandando ad indagini supplementari la scoperta dei “mandanti”. L’ipotesi alternativa è che il primo duplice delitto del Mostro, quello di Signa nel 1968, sia da attribuire a un soggetto diverso dallo psicopatico che poi avrebbe commesso tutti gli altri. Costui, di cui nella versione americana si fa nome e cognome, sarebbe figlio del probabile vero omicida, sempre sospettato ma mai condannato, del delitto del 68.
L’ipotetico Mostro ai tempi del primo omicidio era un bambino, cresciuto, avrebbe manifestato turbe mentali in linea con quanto emerge dalle più accreditate “profilazioni psicologiche” del Mostro. A partire dal 1974, ad intervalli coincidenti con la sue assenze dal fiorentino, avrebbe commesso tutti gli altri 7 duplici omicidi della serie.
Ciò dopo aver sottratto al padre, durante un’intrusione notturna in casa sua, denunciata dal genitore alle forze dell’ordine, la pistola con cui questi aveva sparato alle vittime del 68. Di quest’arma, la famosa mai ritrovata “Beretta calibro 22”, si sarebbe servito per uccidere fino al settembre del 1985, quando sarebbe entrato in una fase di temporanea quiescenza.
Durante le indagini, il mostro ha dato prova di conoscere particolari che potevano essere noti solo a una persona addentro all’ambiente investigativo.
Per esempio nel 1981 una lettera anonima, spedita assai verosimilmente dal Mostro, segnalò il collegamento, inequivocabile per l’identità dell’arma del crimine, tra il delitto del 68 e i successivi. E nel 1985 il Mostro sapeva l’indirizzo riservato del magistrato cui spedì una lettera, contenente, a mo’ di macabra sfida, un lembo del seno dell’ultima vittima femminile.
Gli otto duplici omicidi sarebbero stati commessi da tre persone diverse, di volta in volta per motivi differenti. Il primo, nel 68, mettendo in atto una doppia vendetta, ovvero uccidere una donna scomoda e scaricare la responsabilità su un parente odiato sottraendogli a sua insaputa, e rimettendola a posto, la sua pistola. Il secondo, terzo, quarto e quinto avrebbero matrice maniacale. Li avrebbe commessi il possessore della pistola, uno psicopatico. Il sesto e settimo sarebbero stati commessi da un nipote del maniaco, a scopo di depistaggio, per scagionare lo zio in quel momento recluso. L’ottavo delitto, infine, sarebbe stato commesso a scopo di sfida dallo zio con l’aiuto del nipote, per ribadire agli inquirenti la propria imprendibilità.
Questa teoria, pur basandosi sugli elementi della morte anch’essa avvenuta in circostanze equivoche, dell’assassino psicopatico, si scontra con la barriera di omertà che il “clan dei sardi” ha sempre opposto alle indagini. Lo confermerebbe il suo profilo psicologico disturbato, e soprattutto la sua ritenuta impotenza sessuale, uno dei tratti che i “profiler” sono concordi nell’attribuire al Mostro per il suo mudus operandi. Vanni e soprattutto Pacciani erano, invece, dei “sessuomani”, frequentatori assidui di prostitute. Per “i compagni di merende” la sua posizione è particolare, cagiona pienamente Vanni, ma punta i riflettori su Giancarlo Lotti. I riscontri su un suo coinvolgimento negli ultimi quattro omicidi gli sembrano indiscutibili. In particolare la sua controversa confessione, contenga una tale verosimiglianza di dettagli da far considerare come sicura la sua presenza sulle scene criminis.
Da qui la convinzione che il Mostro sia Lotti.
Lotti, reputato da quanti l’hanno conosciuto come uno balordo dal cervello corto, e classificato nelle perizie degli esperti come “minorato mentale”, avrebbe in realtà mostrato una insospettabile astuzia. Prima, commettendo i delitti del Mostro (tranne il primo) senza farsi mai scoprire, e poi, messo alle strette per il convergere su di lui dei sospetti nell’ambito dell’inchiesta Pacciani, scegliendo il male minore col ritagliarsi un ruolo di “palo” negli omicidi scaricando la responsabilità principale sugli altri due, innocenti, “compagni di merende”.
Questa teoria, pur essendo sul crinale dell’inverosimile ( soprattutto per i dubbi sulle risorse nascoste di Lotti) potrebbe anche reggere, se non fosse per il solito ostacolo del “passaggio di pistola”. Segnini, infatti, è costretto a spiegarlo con la presenza di Lotti, nel suo girovagare di guardone notturno, sul luogo del delitto del 68, cui avrebbe assistito di nascosto, impadronendosi poi della pistola, gettata via dell’assassino.
Quindi Tutto da rifare. Le nuove tecnologie in mano alla scienza per la rivalutazione dei tempi di maturazione di larve e uova fotografate all’ epoca sui cadaveri dell’ ultimo duplice omicidio, rimescolano le carte sul caso del “mostro di Firenze”, una delle inchieste più complesse e lunghe della storia italiana, il primo caso nazionale di omicidi seriali. Quello che è certo oggi, dopo numerosi fascicoli aperti in diverse procure, è che per quegli efferati crimini finirono in carcere a vita perché identificati come gli autori di quattro duplici omicidi, i cosiddetti “compagni di merende”: Mario Vanni e Giancarlo Lotti (unico reo confesso e accusatore dei presunti complici), mentre il terzo, Pietro Pacciani, il contadino di Mercatale, che fu condannato in primo grado a più ergastoli e poi assolto in Appello.
C’è un altro indagato nel nuovo filone dell’inchiesta sul mostro di Firenze. Dopo il legionario, spunta il medico, la svolta della nuova inchiesta sui delitti delle coppiette porta il luce nuovi personaggi. Due nuovi iscritti nel registro degli indagati della scia di sangue dal 1968 al 1985 nelle colline intorno al capoluogo toscano. Giampiero Vigilanti, legionario indagato, nei suoi interrogatori fiume tira in ballo il suo dottore, Francesco Caccamo, 86 anni. Vive a Dicomano, in Mugello, ma ha lavorato anche in un ambulatorio a Prato. Non a caso, era il medico curante dell’ ex combattente della Legione straniera. Sarebbe, secondo il teorema Vigilanti, un anello del cosiddetto “secondo livello”, ovvero i mandanti che avrebbero commissionato gli omicidi delle coppiette.
Nonostante le perquisizioni in casa sua non abbiano portato alla luce elementi importanti, gli inquirenti continuano a ritenerlo un nome chiave. La nuova inchiesta apre nuove ipotesi sugli stessi delitti. La figura di Vigilanti è giudicata interessante. Ai ricordi dell’ ex legionario sono stati cercati riscontri, laddove era possibile, visto che quasi tutti i protagonisti di questo intrigo (Pietro Pacciani, ma anche i “compagni di merende” Mario Vanni e Giancarlo Lotti), non ci sono più.
I pubblici ministeri Paolo Canessa e Luca Turco stanno indagando, pare che le vittime non sarebbero state del tutto casuali, ma scelte secondo un’incredibile e talvolta banale logica degli esponenti della banda.
Ancora troppi lati oscuri per arrivare alla verità occorrerebbe basarsi su dati scientifici, e fino ad oggi, a parte le larve, mi pare non ve ne siano. Eppure non è mai troppo tardi per far luce su un giallo che ha sconvolto che sconvolse l’area fiorentina e l’Italia intera.
di ANTONIO GENTILE