di ILARIA GOBBI
Negli ultimi anni, grazie all’enorme diffusione di Facebook e di altri social, si sta assistendo ad una sorta di continuo elogio della “non competenza” e al qualunquismo , con una scarsa considerazione dei titoli di studio, delle esperienze lavorative e delle competenze dell’individuo.
Molti si sentono in diritto di dare la propria opinione ( spesso e volentieri non richiesta) su argomenti in realtà non conosciuti, rispondendo anche in maniera arrogante e presuntuosa a chi pone delle obiezioni.
La professione dell’interprete non è immune da questo triste fenomeno, anche in virtù del fatto che gli Italiani tendono ad apprendere le lingue straniere molto meno rispetto a molti Paesi avanzati e anche la cosiddetta classe “dirigente” non fa eccezione. Si pensi per esempio alle pessime figure di qualche nostro ex Presidente del Consiglio alle prese con un inglese maccheronico.
Nello studio delle lingue l’Italia può vantare delle eccellenze ( si pensi per esempio alla Ca’ Foscari di Venezia, all’Orientale di Napoli o alla Scuola per Interpreti di Trieste), tuttavia chi si trova a svolgere la professione dell’interprete a tempo pieno o in forma saltuaria (come chi vi scrive,ndr) sa bene che prima o poi deve far fronte a delle resistenze (spesso ridicole) volte a sminuire e mortificare il proprio lavoro.
Imparare una lingua straniera non è infatti un semplice esercizio di memoria o una voce in più da aggiungere al proprio “curriculum vitae”, ma è un modo per aprire la propria mente a culture, abitudini ed esperienze diverse. Occorre cogliere certe sfumature di linguaggio e soprattutto imparare ad ascoltare l’interlocutore e capirne le reali esigenze.
“Ora c’è Google Traduttore e mi posso arrangiare così”: è una frase che purtroppo si sente sempre più spesso e che merita una giusta replica.
Le app e i servizi online sono preziosissimi e assai utili, ma quale algoritmo può decifrare con precisione i mille significati di un’espressione e riportarli correttamente in un idioma diverso?
Proprio qui rimane imprenscindibile l’intervento “umano”: “tradurre è tradire” si dice, ma sicuramente è un modo per mettersi alla prova e scoprire costantemente qualcosa di nuovo.
ILARIA GOBBI