Ve la ricordate la nostra vecchia lira?… bene, caso strano lo spauracchio dell’europa sui mercati finanziari è la moneta ufficiale della Turchia, perché ad oggi non si arresta il crollo della lira turca, che in avvio di contrattazioni è arrivata a perdere fino al 13,5% sul dollaro. La valuta turca, sotto attacco per i timori circa le politiche economiche di Erdogan, è giunta a scambiare a 6,3 con il biglietto verde, per poi recuperare un po’ di terreno. In un articolo il Financial Times scrive che la vigilanza Bce è preoccupata per il contagio della crisi economica e monetaria turca sulle banche europee. Così il Ft che cita come le più esposte l’italiana Unicredit, la spagnola Bbva e la francese Bnp Paribas. Secondo il quotidiano la situazione non sarebbe ancora critica ma viene monitorata da vicino.
Sale fino a quota 260 lo spread tra il Btp e il Bund tedesco nei primi scambi della mattinata mentre sui mercati si accendono i timori per il crollo della lira turca. Il differenziale di rendimento tra il decennale italiano e quello tedesco, che ieri aveva chiuso a 252 punti base, si attesta ora a 257 punti, con un rendimento del 2,91%.
Il 2018 ha portato la moneta turca a perdere un terzo del suo valore a causa delle politiche del presidente Erdogan, in aperto contrasto con i paesi occidentali (si parla di sanzioni dagli Usa) e che ha ridotto, dopo la vittoria elettorale di giugno, ancor più l’autonomia della banca centrale impedendo una stretta monetaria giudicata necessaria in uno scenario mondiale di tassi in rialzo. Anche i dicasteri economici sono stati posti sotto stretto controllo del presidente aumentando così i timori degli investitori.
Dal canto suo anche il ministro delle Finanze, che tra le altre cose è il genero di Erdogan, ha provato a tranquillizzare tutti dicendo che l’inflazione verrà dimezzata al 2020, e che le banche sono forti grazie al loro surplus di capitale. Nonostante i crediti deteriorati siano solo al 3% dei prestiti, Moody’s paventa che questa cifra salirà con l’aumentare della pressione economica. Wisdom Tree notava pochi giorni fa che l’economia turca rimane vulnerabile, “in quanto il suo disavanzo delle partite correnti è il più elevato tra i mercati emergenti e i livelli di inflazione sono quasi tre volte superiori all’obiettivo della banca centrale”. Inoltre le società hanno 337 miliardi di dollari di passività in valuta, con un deficit di 217,3 miliardi netti rispetto agli asset. E le banche sono esposte a costi di finanziamento più elevati in quanto si prevede che il debito di quasi 100 miliardi di dollari vada a scadenza nell’arco di un anno. Gli osservatori internazionali sono poi preoccupati per come il potere politico si estende sulla Banca centrale, rea ad esempio di non aver dato corso a una stretta monetaria che poteva calmare un poco i prezzi.
La Turchia deve fare i conti anche con l’america, la lira è ormai al passo con il rublo russo. Valuta turca e moneta russa, comunate da tensioni che scuotono le divise di paesi emergenti, segno di un’espansione globale che si scopre più fragile e disomogenea. Ma oggi soprattutto unite da un altro destino: essere bersaglio di sanzioni dall’amministrazione americana di Donald Trump. Sanzioni diverse e per diverse ragioni – la Turchia ha imprigionato un religioso statunitense; la Russia avvelenato una sua ex spia in Gran Bretagna. Che però hanno effetti sui mercati altrettanto drammatici: per Ankara fanno precipitare una crisi già nelle carte, radicata in squilibri economici e politici interni sotto Recep Tayyip Erdogan. Per Mosca ne minacciano una nuova, foriera di più dure “strette” a venire nonostante la reticenza della Casa Bianca a criticare direttamente Vladimir Putin e lo sfoggio di amichevoli summit bilaterali.
di Antonio Gentile