L’ingannevolezza delle informazioni che hai ricevuto e che ti hanno convinto a fare l’investimento in termini di valore della pietra, sua rivendibilità e quotazione di mercato, è palese. L’inchiesta per truffa del Tribunale di Milano e il sequestro di 700 milioni di euro da parte della Guardia di Finanza aprono ora nuove possibilità per i risparmiatori truffati
Cinque tra i maggiori istituti bancari del nostro Paese sono risultati coinvolti attivamente in una truffa da oltre 700 milioni di euro ai danni degli investitori. La somma in questione corrisponde a quella messa sotto sequestro preventivo da parte della Procura di Milano, a seguito di indagini e accertamenti che hanno portato a scoperchiare il vaso di Pandora.
Unicredit, Banco Bpm, Intesa Sanpaolo, Banca Aletti e Monte dei Paschi: questi i nomi delle banche che, su iniziativa di due società di vendita di diamanti, hanno letteralmente raggirato i risparmiatori convincendoli a investire in questo bene.
Peccato però che le percentuali di guadagno che le banche mostravano ai clienti fossero pesantemente ritoccate, gonfiate fino a mostrare rendimenti annui di oltre il 3-4%, superiori quindi a qualsiasi titolo di Stato.
Gli accordi iniziali e la successiva truffa
Le banche in questione, inizialmente, dovevano solo esporre materiale pubblicitario e informativo per mettere al corrente i clienti di poter dar seguito ad un simile investimento. Successivamente, però, la IDB (Intermarket Diamond Business) e la DPI (Diamond Private Investment) hanno stretto un accordo con le banche per poter speculare sulla pelle degli investitori.
La multa di Antitrust
Nell’ottobre 2017 Antitrust ha multato per più di 15 milioni di euro due società venditrici di diamanti e quattro banche che hanno venduto a prezzi gonfiati le loro pietre a ignari clienti, spacciandoli per investimenti sicuri e senza informare dei rischi reali e dell’impossibilità di rivendere i preziosi acquistati. Le banche sanzionate sono Intesa San Paolo, Unicredit, Monte dei Paschi di Siena e Banco BPM, assieme alle due società IDB e DPI. Antitrust ha chiuso in ottobre il procedimento aperto nei confronti di Diamond Love Bond e Ubi Banca, accettando i loro impegni.
Gli impegni di Diamond Love Bond e Ubi Banca
La segnalazione fatta ad Antitrust verteva su due aspetti:
- La mancata trasparenza e correttezza dell’offerta: leggendo le informazioni riportate sul sito http://www.diamondlovebond.it/ e nei depliant che venivano distribuiti nelle agenzie Ubi Banca il consumatore era indotto a ritenere che l’acquisto di diamanti in banca fosse un investimento alternativo molto sicuro. Cosa non vera, in quanto il prezzo del diamante è soggetto a oscillazioni e non è vero che il suo valore di acquisto sarà sempre inferiore a quello di realizzazione. Di questo aspetto, però, il consumatore non viene informato. Il nostro mistery shopping aveva dimostrato che le stesse informazioni scorrette venivano veicolate in agenzia.
- Il recesso non rispettoso delle indicazioni del Codice del Consumo. Era prevista in contratto la possibilità di recedere entro 14 giorni dalla consegna del diamante. Però, nonostante il Codice del Consumo preveda la gratuità del recesso che deve avvenire senza oneri per il cliente, al cliente venivano addebitati i costi di logistica e di assicurazione del prodotto pari ad un massimo del 4,5% del prezzo.
Antitrust ha deciso di accettare gli impegni di DLB e di Ubi Banca, che saranno realizzati entro 60 giorni dalla delibera Antitrust. In particolare sarà modificata la comunicazione data sul sito informando il consumatore che il diamante è un bene di consumo e non prodotto finanziario e che quindi non è corretto parlare di rendimento; inoltre la vendita del diamante può richiedere molto tempo. Verrà predisposta un’informativa precontrattuale che sarà consegnata al cliente prima della vendita. DLB farà corsi di formazione ai funzionari di Ubi Banca che venderanno i diamanti in agenzia e rimborserà i costi applicati dal 2015 in avanti ai clienti che hanno esercitato il recesso. Ubi Banca si impegna inoltre a controllare accuratamente il comportamento dei suoi funzionari in modo che rispettino le regole del Codice del Consumo e che la vendita dei diamanti sia offerta solo ai clienti correntisti con un patrimonio superiore ai 100.000 euro e comunque per un valore che non superi mai il 5% del patrimonio complessivo.
La vicenda nei dettagli
In tempi di magra per gli investimenti tradizionali in titoli di Stato e obbligazioni, gli istituti di credito hanno individuato il diamante come bene rifugio, come possibilità di investimento da proporre ai clienti. A denunciare il fenomeno era stato Report, il programma di Rai Tre, con un’inchiesta andata in onda lo scorso ottobre. Abbiamo ricevuto diverse segnalazioni di soci preoccupati. L’acquisto di un diamante da investimento non è un buon affare. Troppe incognite e un circuito chiuso che non guarda al mercato.
Ma come si investe in diamanti? Allo sportello viene proposto come investimento sicuro, redditizio ed esentasse, ma a lungo termine. Peccato che vendere la pietra quando si ha bisogno di liquidità non è semplice come viene prospettato: il prezzo a cui viene venduta al cliente è almeno il doppio dei valori di mercato e le commissioni di uscita sono piuttosto salate. Il sistema funziona finché la banca trova un altro cliente a cui rivendere il diamante a quel prezzo gonfiato. Quindi, nel circuito chiuso che si viene a creare. Ma chi ci dà la certezza che questo sarà possibile tra 10-20 anni cioè, al termine del tempo consigliato dalla banca e dalle società per l’investimento? Nessuno. La bolla potrebbe scoppiare e le perdite potrebbero essere consistenti.
dal web di Antonio Gentile